Secondo i pescatori locali intervistati nel 1982, la Foca monaca si faceva ancora vedere, solo nel periodo autunnale, presso l’Isola di San Nicola e, con maggiore frequenza, in prossimità dell’isola di Pianosa, poco distante da Pelagosa in Dalmazia (Di Turo, 1984).
Per quanto riguarda la costa adriatica occidentale ed in particolare la Puglia, Paola Di Turo (1983 – 84; 1984;) riassume una serie di importanti dati che attestano la presenza della specie in alcuni tratti di costa e nelle Isole Tremiti.
Si tratta in buona parte di informazioni raccolte nell’ambito di una indagine denominata “Niphargus 1983” e condotta a cura della Sezione Speleobiologica Pugliese sotto la guida di P. Parenzan.
I dati in questione vengono sintetizzati e schematicamente esposti nelle seguenti tabelle, con alcune aggiunte derivanti da notizie raccolte da Roberto Basso (com. pers.; 1989) e parzialmente inserite in un articolo di Mastragostino (1989).
Osservazioni per le Isole Tremiti dal 1953 al 1981 (Di Turo, 1983 – 84;)
La Foca monaca
È l’unico Pinnipede presente nel Mediterraneo. Ha il corpo massiccio lungo circa 240-280 cm nel maschio adulto (la femmina è leggermente più piccola); il peso varia dai 350 ai 400 kg. I piccoli nascono lunghi circa un metro e pesano poco più di 20 kg. Il capo è arrotondato, ornato da lunghe vibrisse (i “baffi”); lunghe sopracciglia ornano gli occhi. Le pinne pettorali sono allargate e ogni falange porta un unghia alla sua estremità. Le pinne posteriori, dalla forma molto caratteristica, hanno il primo e il quinto dito più lungo e le dita intermedie più corte. La coda è piccola e poco visibile. Il pelo è corto. La specie fu descritta per la prima volta nel 1779, con il nome di Phoca monacus. Successivamente John Flemming creò il genere Monachus del quale vennero a fare parte tre specie simili:
1) Monachus monachus, foca monaca del Mediterraneo;
2) Monachus tropicalis, foca monaca dei Caraibi (oggi estinta);
3) Monachus schauinslandi, foca monaca delle Hawaii (oggi la specie raggiunge il numero di circa 1000 esemplari, grazie ad uno straordinario progetto di conservazione).
È probabile che il suo nome derivi dal colore del mantello, simile al colore del saio dei monaci.
La foca monaca è una straordinaria nuotatrice. Per nuotare utilizza gli arti posteriori, che muove lateralmente, e gli anteriori per manovrare. Agile ed aggraziata in acqua, ha una pessima mobilità a terra al contrario delle otarie che utilizzano le pinne anteriore come propulsore in acqua e una volta a terra si sollevano sui quattro arti, diventando più agili della monaca che invece utilizza solo il ventre.
È un animale stanziale e costiero, che partorisce all’età di cinque sei anni. Ogni due anni, dopo una gestazione di 11 mesi un unico piccolo, all’asciutto in una grotta. Il piccolo viene allattato circa 16 settimane e solo dopo lo svezzamento entra per la prima volta in acqua. Non restano che 300 esemplari di foca monaca del Mediterraneo, distribuiti tra Turchia, Mauritania, Spagna, Tunisia e Grecia.
Fino agli anni '80 era presente in Sardegna, nelle Isole Tremiti, nel Salento e all’isola d’Elba. Accusata dai pescatori di rubare pesce dalle reti causando danni alle stesse è stata barbaramente uccisa per decenni persino con la dinamite. Data il suo scarso tasso riproduttivo, (ogni due anni un cuccioli dopo il quinto anno di età e data l’altissima mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite agosto novembre, ¹ spesso le grotte dove nascono i cuccioli si allagano e le onde trascinano il cucciolo incapace di nuotare per i primi quattro mesi) la sua sopravvivenza è legata solo all’opportuno ed efficace intervento dell’essere umano per la sua protezione e conservazione.
La Grotta del Bue Marino
E’ senza dubbio la grotta più famosa delle Isole Tremiti.
Essa prende il nome dalla foca monaca (Monachus monachus) che secondo la tradizione, era solita trascorrere una parte della propria vita in questa grotta, riproducendosi su una piccolissima spiaggia interna.
La grotta è la più grande dell'isola, misurando una lunghezza di circa 70 m e una larghezza di circa 10 m che va restringendosi verso la parte terminale, piegata ad angolo retto. Anche in questo caso la luminosità è estremamente ridotta, soprattutto nella parte terminale, per cui i riflessi azzurri del cielo determinano una colorazione delle acque e dell'ambiente di grande effetto visivo.
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