Si è appreso che, quanto prima, inizieranno le operazioni di sminamento presso l'Isola di Pianosa delle Tremiti. a tale proposito, si riporta un articolo di Salvatore Ventruto e Martino Villosio apparto sul settimanale "L'Espresso" sulle bombe dimenticate a Pianosa.
"È giunto il momento di decidere se restituire agli italiani il meraviglioso paradiso che è l'isola di Pianosa o prendere atto che, invece, è un comodo alibi renderla una riserva integrale per occultare la verità di ciò che è diventata: pattumiera di ordigni bellici". Stefano Pecorella, presidente del Parco Nazionale del Gargano, usa un'immagine forte. E, in una frase, sintetizza un paradosso che dura dal 1989. In quell'anno i fondali che circondano l'isola di Pianosa, nell'arcipelago pugliese delle Tremiti, venivano dichiarati area marina protetta in virtù di una straordinaria ricchezza naturalistica. Accanto alle tipiche foreste di corallo nero, però, quei fondali ospitano anche una distesa di ordigni della Seconda Guerra Mondiale, la cui pericolosità è riconosciuta ufficialmente sin dal 1972, quando un'ordinanza della Capitaneria di Porto di Manfredonia vietò per motivi di sicurezza la navigazione, l'ancoraggio, la pesca subacquea e la balneazione per una profondità di 500 metri dalla costa. Le bombe, scaricate a terra e a mare dagli Alleati che avrebbero utilizzato la perla delle Diomedee come campo di addestramento, convivono con la flora e la fauna di un ambiente apparentemente incontaminato. L'impatto degli ordigni sull'ecosistema è stato misurato nell'estate del 2004 dall'Istituto centrale per la ricerca scientifica applicata al mare (l'ex Icram diventato oggi Ispra), con uno studio nell'ambito del progetto Red Cod che ha certificato lo "stress ambientale" a cui sono sottoposte le specie marine analizzate. "Allo stato attuale non è possibile neanche intervenire con le opere di tutela e valorizzazione previste dagli scopi dell’area marina protetta", chiosa amaro il presidente dell'Ente Parco Pecorella. Eppure un piano per liberare l'isola dalle bombe esiste lo ha abbozzato il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola nel novembre scorso rispondendo all'ennesima interrogazione parlamentare sul tema: in 35 giorni, ha stimato la Marina Militare, le operazioni potrebbero essere completate. La Difesa è pronta ad anticipare i soldi necessari, ma chiede un coinvolgimento anche degli enti locali e degli altri ministeri interessati. Gli ordigni che offendono i tesori naturali di Pianosa sono il simbolo di un problema che riguarda altre zone d'Italia, dove amministratori locali e comitati di cittadini invocano da anni interventi di monitoraggio e di bonifica delle migliaia di bombe nascoste nei mari. Una presenza silenziosa ma aggressiva per l'ambiente e pericolosa per salute e sicurezza.
Nei mari della Puglia, dopo il secondo conflitto mondiale, sarebbero finiti circa 20.000 ordigni a caricamento chimico oltre a quelli convenzionali: anche bombe e munizioni stoccate nei depositi di Bitonto, di Foggia e di Manfredonia e poi inabissate dagli eserciti alleati. Mentre a poca distanza da Molfetta, a Torre Gavetone, c'è una spiaggia frequentatissima dove dall'estate 2011 un cartello ignorato vieta la balneazione a seguito di un'ordinanza comunale. Nella zona, sottoposta a bonifica tra il 1996 e il 1999, è stato individuato un possibile deposito di residuati bellici "tombati" nel cemento armato a soli 20 metri dalla costa. Durante il conflitto in Kossovo del 1999, infine, una mappa diffusa dalla Capitaneria di porto di Manfredonia segnalò 11 zone di sgancio di ordigni inesplosi da parte dei caccia Nato nel Basso Adriatico. Il documento venne però disconosciuto dal Ministero della Difesa e dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto. Un giallo che continua ancora oggi a far discutere, visto che alla fine del conflitto si decise di non procedere a nessuna bonifica nelle acque a sud del Gargano.