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L'ultimo lembo Italiano nel Mare Adriatico, ma purtroppo delle "discariche".



PIANOSA AMP Isole Tremiti | Zona A, di tutela integrale

Ultimo lembo Italiano nel Mare Adriatico, ma purtroppo delle "discariche".

Sulla piccola Isola oltre ai resti di una nave affondata l'11 marzo 1986, il "Vosso", ex Panayiota, tonnellate di plastica, tra sacchetti, bottiglie, contenitori, migliaia di frammenti di cassette di polistirolo, blister, reti per la coltivazione dei mitili, stoviglie usa e getta, stracci, scarpe, tronchi e rami di legno, e tutto quello che il mare accumula da anni sulle basse coste dell'Isola.

Tra queste enormi quantità di marine litter anche un "box dissuasori di velocità" (vedi foto di copertina) generalmente utilizzato per il controllo della velocità sulle strade, e chissà, come finito in mare e poi sull'Isola di Pianosa.

Ma non solo, sull'isola si trova veramente di tutto, anche cartelli e segnaletica proveniente da Chioggia.


Noi vorremmo avviare quest'anno una campagna volontaria di pulizia con il coinvolgimento di tutti quelli che hanno a cuore il mare e le Isole Tremiti. Ci auguriamo che la nostra richiesta sia accettata dall'Ente Parco Nazionale del Gargano in qualità di gestore dell'AMP Isole Tremiti.





Video


A ridosso dell’Isola di Pianosa giacciono i resti di una nave battente bandiera cipriota.


Grazie ai registri dei Lloyd’s di Londra abbiamo ricostruito i suoi movimenti: il 2 febbraio la Panayiota parte da La Spezia diretta verso la costa africana. Il 5 marzo, dopo che aveva già cambiato identità (facendosi chiamare prima Nounak e poi Vosso), salpa da Alessandria d’Egitto diretta a Sitia, in Grecia.

Sei giorni più tardi si materializza al largo del Gargano: «Intorno alle 23 e 15 la nave ha urtato con la prua sugli scogli dell’isola di Pianosa». A scriverlo, nel rapporto che abbiamo recuperato presso la Capitaneria di Porto di Manfredonia, è il sottotenente di vascello Corrado Gamberini. Il faro dell’isola è acceso. La visibilità quella notte è ottima, di oltre due miglia sul mare forza 3 col vento che spira da sud.

Il mercantile procede a una velocità di 8 nodi e mezzo sulla rotta 303: radiogoniometro, scandaglio ultrasonoro, pilota automatico, bussole magnetiche e registratore di rotta funzionano. Il capitano Mikail Divaris non lancia l’Sos. Poco dopo l’incidente alla Panayiota-Vosso si affianca la motonave El Greco che raccoglie gli 8 uomini d’equipaggio: 4 egiziani, 2 greci, un


cileno e un tunisino. «All’atto del sinistro, il Divaris non effettua i rilevamenti geofisici, non controlla la condizione del carico e l’entità dei danni subiti dalla nave; non tenta neppure di disincagliarla », rileva il rapporto della Capitaneria di Porto di Manfredonia.

Il 12 marzo giunge a Pianosa la motovedetta Cp 2012. L’armatore greco Emanuel Tamiolakis, titolare a Limassol della Navigation Limited, si rifiuta di recuperare la carretta. La situazione precipita, tant’è che Giuseppe Ciulli, comandante della Capitaneria, si rivolge all’Ispettorato centrale per la difesa del mare: «Organi sanitari nazionali hanno dichiarato sussistere imminente pericolo inquinamento ». Ma nonostante ciò lo Stato italiano non interviene.

Il 12 agosto Fernando Mengoni, medico dell’Usl Foggia/4 approda a Pianosa e denuncia: «La stiva della nave risulta aperta: la parte del carico visibile all’ispezione risulta essere formata da una fanghiglia


fortemente maleodorante di color nocciola, con vaste zone schiumose ed in evidente stato di fermentazione e putrefazione».

Il 14 ottobre il direttore generale del ministero della Marina Mercantile si accorge del disastro: «Permane nella zona una situazione che può rivelarsi compromissoria per l’ambiente e per il paesaggio », ma non muove un dito. L’ordinanza di sgombero (la 21/86), emanata dal Comune delle Isole Tremiti cade nel vuoto.

Epilogo: l’incidente con tutta probabilità è stato provocato per intascare il premio assicurativo stipulato con l’Ocean Marine Club di Londra.

Il mercantile custodiva nella stiva circa 695 tonnellate di residui chimici.


Foto del relitto con in lontananza le isole di San Nicola, San Domino e Caprara

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1 Comment


ettore belli
ettore belli
Jan 03, 2023

Per i danni ambientali dolosi ci vorrebbe il sequestro di tutti i beni fino al quarto grado di parentela per 10 generazioni e la pena di morte per chi ha organizzato il malfatto o l'ergastolo ai lavori forzati nel ripulire ambienti contaminati fino alla morte.

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